Le storie di questa montagna sono negli occhi della gente che se ne prende cura. Storie di boschi, di persone povere e industriose, di pietre squadrate a mano, di funghi, erbe selvatiche, bestie e sentieri che non esistono più.
Storie come quella del benestante figliolo del guardia e del “citto” del carbonaio senza terra che si intrecciano in un’amicizia che dura ancora. Storie di chi si è allontanato e poi è ritornato o dei giovani, sempre alla ricerca di qualcosa o di sé, finiti a incastonarsi fra queste rocce e questi boschi quasi per caso.
Le solite storie che oggi raccontano le montagne abbandonate, insomma, ciascuna coi suoi irripetibili dettagli.
«A sera la mi’ mamma la mi diceva:
Su, Jacopo, ’gnamo a casa, che ci si fa un polentino, ’un vorrai mica morir di fame!
Oh mamma, ma ’un si mangerà sempre castagne e acqua, dico io!
Eh, cittino mio, che tu mugoli o ch’un tu mugoli, quassù l’è sempre pan di legno e vin de’ nuvoli».